Al di là dell’alone di romanticismo che avvolgeva eroine ed eroi dell’Ottocento, consunti dalla tisi, o mal sottile, il problema sanitario e sociale della diffusione della tubercolosi era grave anche nelle nostre zone, e le persone non più giovani ricorderanno certamente i dispensari antitubercolari e le giornate dedicate al tema con apposite campagne di sensibilizzazione e la stampa di appositi “francobolli” con la doppia croce. Alla fine dell’Ottocento si maturò la convinzione che la vita sana all’aria aperta e il sole potessero contribuire efficacemente alla profilassi antitubercolare, e negli anni venti del Novecento presero avvio le cosiddette “colonie solari”, con il sostegno della Direzione generale della Sanità Pubblica. Così scriveva nel 1922 (nello stesso anno era stata istituita la Federazione italiana fascista per la lotta contro la tubercolosi) un medico: «A migliaia sono i fanciulli deboli, gracili o comunque predisposti alla tubercolosi, i quali, per mancanza di mezzi, rimangono privi di qualsiasi soccorso di carattere sanitario preventivo; destinati, quando il lavoro affaticante, i disagi e le preoccupazioni della vita li sorprenderanno in istato ancora di debole resistenza, a cadere vittima del terribile flagello, la cui origine nell’adulto rimonta ordinariamente all’età infantile. Ad essi, pertanto, devono essere rivolte speciali cure: ché, rinforzandoli, noi potremo opporre una salda barriera contro l’incessante e minaccioso dilagare dell’infezione, a cui si contende nel fanciullo il terreno più favorevole al suo attecchimento, e prepareremo, in pari tempo, una razza sana e forte, valido presidio e strumento delle fortune della Patria». Un rimedio efficace e dai costi contenuti erano le colonie solari locali, ed anche il Calasanzio ne aprì una nei suoi locali.
«Tra i bambini che frequentano l’asilo Infantile «S. Giuseppe Calasanzio», molti sono gracili, sparuti, deboli e bisognevoli di cure e di assistenza particolari. Ad essi si provvede alla meglio, in corso d’anno, somministrando qualche ricostituente. Ma, quando l’asilo si chiude per le brevi vacanze estive, quelle misere creature tornano al povero abituro paterno, ove al vitto insufficiente spesso s’accompagna la scarsa pulizia, e trascorrono i giorni più salutari dell’anno tra la malsana baracca e l’infido polverone della strada. Né possono giovarsi delle cure climatiche elargite da tante benefiche istituzioni, a causa della loro troppo giovane età (dai 3 ai 6 anni) e del numero limitato dei posti disponibili. A questi poverini si pensò di provvedere sul posto: e con l’assillante desiderio di fare qualche cosa in pro della loro salute, il primo luglio 1927 s’iniziò un primo esperimento di cura solare nell’ampio e soleggiato piazzale scoperto dell’asilo.
Entrano alle 8 antimeridiane, vengono immediatamente spogliati e messi in costume da bagno, poi fanno colazione – pane e latte – terminata questa, giuochi liberi e ordinati, ginnastica ma sempre al sole. Alle 11 la doccia, indi camminano al sole. A mezzogiorno una buona minestra, pane e carne; alle 4 ½ pom. refezione variata – pane, uova, formaggio, frutta cotte, salame, conserva. Il profitto che fanno meraviglia tutti; hanno aumentato l’appetito e il peso e sono così anneriti come fossero stati alla spiaggia».
Pubblicato da Il Popolo, settimanale della diocesi di Concordia- Pordenoneil 21 Febbraio 2021Di Roberto Sandron, autore del libro Il Calasanzio di Portogruaro
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