L’asilo infantile Calasanzio iniziò formalmente la sua storia nel 1920. Scrive, infatti, mons. Belli a conclusione dei suoi Annali: «1920. Dal rev. Mons. Dott. G. B. Titolo è istituito l’asilo infantile “S. Giuseppe Calasanzio” sotto la direzione delle suore della Piccola Casa della Provvidenza di Torino». Però un asilo infantile era stato aperto in città un paio di anni prima..
Il 9 novembre 1917 gli austroungarici erano entrati a San Donà di Piave. Nella notte tra il 16 e il 17 dicembre il parroco di San Donà, mons. Luigi Saretta, con alcune suore di Maria Bambina, salirono su un carro bestiame alla stazione di S. Stino di Livenza e arrivarono a Portogruaro, dove trovarono accoglienza presso le suore della Provvidenza che prestavano servizio nell’Ospedale civile e presso la Casa di Riposo Francescon. Il giorno successivo ricevettero ospitalità da don Luigi Bortolussi, nella canonica di S. Agnese. Con mons. Saretta erano arrivate a Portogruaro sia le suore che prestavano servizio presso l’ospedale di San Donà, sia quelle che lavoravano all’asilo di Calvecchia, che Saretta aveva aperto nel 1915 per i figli dei richiamati.
Il 5 gennaio 1918 il vescovo Isola nominò Saretta parroco di S. Andrea, essendo il titolare, mons. Gio Batta Titolo, partito profugo per Roma. Con l’afflusso a Portogruaro di molti sfollati che fuggivano dal fronte, attestatosi sul Piave, mons. Saretta si persuase che fosse necessaria l’istituzione di un asilo parrocchiale, mai esistito prima a Portogruaro, e che bisognasse riaprire le scuole. E così fece.
Le scuole elementari si riaprirono nel mese di gennaio 1918, con tutte le cinque classi: maestre le suore, direttore didattico mons. Saretta. Scrive egli stesso: «furono raccolti libri e carte e tutto il materiale didattico che fu possibile ritrovare nei negozi devastati dei librai di Portogruaro. In qualche modo furono sostituiti i banchi e le cattedre che erano state bruciate. E i bambini e i fanciulli del centro e delle frazioni più vicine accorsero lieti e festanti alla scuola.
Sulle porte e nelle lavagne, col gesso, l’Arciprete disegnava, a memoria, le carte geografiche, s’intende coi confini vecchi, improvvisava il sillabario, e dava il programma quotidiano alle improvvisate maestre».
Le lezioni si tenevano nelle scuole elementari del capoluogo da pochi anni costruite e, su richiesta del parroco di S. Nicolò don Umberto Martin, anche in quella località, a circa 150 bambini «nella casa di Ferdinando Boschin». Il Comune di Portogruaro, in segno di gratitudine verso le suore impegnate nel servizio scolastico, elargì loro un piccolo compenso «e alcuni buoni per generi alimentari in natura, come legna, granoturco, carne».
Le suore che si occuparono dell’asilo di Portogruaro erano la superiora, suor Maddalena Bianchi (1882-1934), suor Domenica Sangiorgio (1893-1932), suor Giuseppina Fossa (1890-1980) e suor Franceschina Piccin (1896-1973).
Accanto alle suore c’erano tre «sorelle mandatarie», delle collaboratrici che dal 1970 furono equiparate alle suore.
Le mandatarie a Portogruaro erano Ester Ghisi (1890-1936), Maria Antoniazzi (1895-1991) e Giuseppina Romagno (1877-1959). Le suore non si limitarono a fare le maestre, ma erano impegnate nel catechismo, nell’assistenza religiosa, nella visita agli ammalati. Su richiesta di mons. Saretta ampliarono il loro campo d’azione a Villastorta e a Giussago, in una tenuta di Stucky tra l’indicibile «squallore di quelle cattedre e di quelle aule improvvisate, la miseria e la sporcizia di quei poveri bambini».
Mons. Luigi Saretta ha lasciato un quadro eloquente della situazione della città durante il periodo dell’occupazione: «…Portogruaro offriva uno spettacolo miserando di dolori, di fame, di desolazione e di rovina […]. Un popolo di pezzenti, spogliato e avvilito, oppresso dalla sventura, inebetito dal dolore, alla mercé del nemico, senza protezione e senza legge! I poveri profughi avulsi dalle loro case, nella furia dell’avanzata, senza vestiti e senza pane, presentavano uno spettacolo ancora più straziante. Erano vecchi cadenti, erano fanciulli pallidi, scalzi nel cuor dell’inverno, erano povere donne lacere ed affrante, che percorrevano le vie polverose e le campagne in cerca di un pugno di farina».
[…] Portogruaro era stata in gran parte sgombrata dai suoi cittadini, le case erano deserte, in gran parte derubate e rovinate. Dappertutto soldati austriaci, prigionieri russi e qualche borghese». C’erano però anche dei momenti di festa, compatibilmente con la situa-zione generale, e le suore organizzano nell’oratorio di Villastorta una “sagra” con celebrazione della messa, processione, discorso e canti, cui faceva seguito un po’ di cibo e del vino: «in una di queste “sagre” la famiglia Geromin disseppellì una botticella di buon vino. Era rimasta sepolta nell’orto da alcuni mesi e sopra di essa cresceva già l’insalata!
Le suore erano buone, ma non ingenue. Per sottrarla alla requisizione da parte del nemico, nascosero per mesi nella canonica del Duomo una mucca; per salvaguardare i pochi beni loro rimasti, e anche qualche corredo di spose, avevano costruito dei finti letti con biancheria, indumenti, ecc.: «quando entravano i gendarmi per fare la perquisizione, ciò che avveniva di frequente, una suora, la più pallida e la più deperita, si metteva nel finto letto come fosse ammalata. I gendarmi che avevano spavento del male, appena aprivano la porta e vedevano l’inferma, si allontanavano con orrore».
Terminata la guerra mons. Saretta lasciò immediatamente Portogruaro per San Donà, senza attendere il ritorno di mons. Titolo, mentre le suore continuavano a tenere aperto l’asilo e a svolgere servizio nell’ospedale. La precipitosa partenza lasciò stupito anche Celso Costantini che in una lettera scrisse: «Che ci sia sotto qualche mistero? Che avesse avuto paura di trovarsi coinvolto nelle informazioni poco veritiere e molto approssimative fornite sul conto del vescovo e specialmente sul conto di don Isaia all’ on. Sandrini?». Evidentemente non erano tutte rose e fiori tra il vescovo Isola e Luigi Saretta, che non aveva mai fatto mistero dei suoi sentimenti di italianità durante l’anno di occupazione.
Anche se non ci sono dati certi è molto probabile che l’asilo sia stato aperto nei locali del cosiddetto “seminarietto”, la parte più vecchia dell’attuale Calasanzio. Nel 1838 il vescovo Carlo Fontanini, che pochi anni prima aveva portato a compimento il nuovo duomo di S. Andrea, aveva acquistato l’immobile, una «fabbrica di muro coperta di coppo con cortivi ed orti […] con sottoportico esterno soggetto a pubblico passaggio», da Costanza Bettoni Zambaldi, sorella del celebre tipografo Nicolò Bettoni e madre di Antonio Zambaldi «vero fondatore della storia civile di Portogruaro».
Il “seminarietto” sarà utilizzato per svariati usi: casa di privata abitazione, scuola elementare maschile da parte del Comune alla metà dell’Ottocento, sede della posta militare nel primo periodo della grande guerra, sede del seminario nell’anno scolastico 1916-1917, probabile sede dell’asilo aperto da mons. Saretta e rimasto in funzione fino a dicembre 1918, quando lui e le suore fecero ritorno a San Donà di Piave.
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